Il futuro dell’hospitality secondo Niccolò Belingardi Clusoni
Niccolò Belingardi Clusoni, l’uomo che ha fatto acquisire ai fratelli Reuben il Baglioni Hotel di Venezia

È stata un’operazione complessa e già a settembre si vedranno i primi risultati. L’investment company Reuben Brothers ha acquisito il Baglioni Hotel Luna di Venezia da Baglioni Hotels & Resorts, l’hotel più antico di Venezia, sbaragliando una concorrenza agguerrita. L’intera operazione immobiliare è firmata Patrimonia Real Estate, società di investimento e sviluppo immobiliare guidata da Niccolò Belingardi Clusoni, che non è nuovo a certi business. Proprio in questi giorni ha acquisito, con un altro capital partner, un grosso building a Milano. “Avremmo voluto sviluppare un lifestyle hotel, di 240 stanze dietro al Bosco Verticale”, racconta quando lo incontriamo virtualmente su Zoom. “Tuttavia, a causa della situazione attuale, abbiamo poi preferito sviluppare 65 appartamenti “high end”, di fascia alta. Il mercato residenziale a Milano è in forte espansione, vogliamo creare un prodotto internazionale e in linea con le nuove esigenze di spazi abitativi”.
Torniamo al Baglioni di Venezia. È stato acquisito dai fratelli David e Simon Reuben, considerati la seconda famiglia più ricca del Regno Unito con un patrimonio netto di 16 miliardi di sterline. Secondo indiscrezioni siete riusciti a chiudere intorno ai 100 milioni di euro. Dietro l’acquisizione c’era lei.
Confermo, il mio investitore è un’importante famiglia inglese, già proprietaria di altri asset alberghieri (Eden Roc, ndr). La negoziazione è stata complessa, ma in tre mesi siamo riusciti a chiudere il deal in full equity. Non dovendoci appoggiare a finanziamenti esterni abbiamo avuto una prospettiva interessante anche per il venditore.
Si dice che i Reuben, per spuntarla, abbiano offerto al venditore la possibilità di sviluppare il marchio Baglioni in altre tre città chiave. Per espandere la catena. È vero?
Si, è stata una mia idea quella di pensare a un quadro più ampio, che potesse generare valore nel lungo termine. L’obiettivo è puntare su città come New York, Parigi, Madrid, città in cui Baglioni non è presente.
È stata una win-win situation, come la chiamate in gergo.
Sì. Noi abbiamo comprato bene, ma riteniamo di aver strutturato un deal vincente per tutte le parti in gioco. Crediamo nel brand Baglioni, e oggi, abbiamo la possibilità di sviluppare il marchio in altre tre città chiave. Questa espansione sarà in capo a Patrimonia.
Il Baglioni di Venezia è anche oggetto di un’importante ristrutturazione che lo valorizzerà.
Dovrebbe finire entro l’estate. Sul lato destro ci sarà un ristorante stellato, mentre sul lato sinistro l’idea è di creare un club, un nuovo spazio che accolga gli ospiti internazionali durante gli eventi, dal cinema al carnevale.
Vuole fare concorrenza a Palazzina G?
Palazzina G è un’istituzione, ma crediamo ci sia spazio anche per un altro concept. A Venezia oggi manca un club in cui le celebrities si ritrovino dopo gli eventi istituzionali. Per riuscire a creare il posto giusto non ci si può improvvisare, abbiamo delle idee che riteniamo possano funzionare. Io credo nel successo di questo progetto.
Come fa, lei, uomo di numeri, a capire come e dove si divertono le celeb?
Non lo nego, sono un nerd. Ho preso la “distinction” al mio MBA a Stern Nyu, lavorare in excel è il mio pane. Però ho sempre viaggiato molto, ho vissuto in cinque città, tra cui New York, Londra, Shanghai e in ognuna di queste cercavo di capire quali fossero i posti giusti da frequentare. Amo il lifestyle. La gentrificazione è un fenomeno che, chi fa il mio lavoro, deve saper anticipare. Se sei solo un uomo di numeri non è detto tu ci possa riuscire. Se non hai vissuto certe situazioni, è sicuramente più difficile capire che cosa può veramente funzionare e dove.
Lei ha studiato e vissuto cinque anni a New York, che cosa ha imparato lì?
Mi sono appassionato al real estate e agli investimenti nei lifestyle hotel. New York è una città unica, la sfida è provare a sviluppare parte di questo schema in altre città.
Il primo vero lavoro?
La torre del W Hotel downtown, 58 piani.
La sfida maggiore?
Il confronto con i top player. Grazie all’amicizia di Mitch Moinian, a cui chiesi un lavoro mentre stavo ancora studiando, sono entrato nel mercato immobiliare, chiuso, di New York. Mi sono sentito un insider. Creandomi uno spazio che, con un visto da studente, sarebbe stato impossibile avere. Oggi, anche grazie a quell’esperienza, la mia società si interfaccia con tutti i più importanti operatori del mercato.
Fonte: forbes.it